IL 22 OTTOBRE DEL 1982 MORIVA MATTEO COLACCHIO, STORICO PROMOTORE E FONDATORE DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA AGRICOLA FORTORE. MANAGER AUTOREVOLE, ILLUMINATO E GRANDE INNOVATORE. TORREMAGGIORE.COM NON DIMENTICA QUESTO ILLUSTRE FIGLIO

IL 22 OTTOBRE DEL 1982 MORIVA MATTEO COLACCHIO, STORICO PROMOTORE E FONDATORE DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA AGRICOLA FORTORE. PRIMO PRESIDENTE, MANAGER AUTOREVOLE, ILLUMINATO E GRANDE INNOVATORE. TORREMAGGIORE.COM NON DIMENTICA QUESTO ILLUSTRE FIGLIO DOPO 42 ANNI DALLA PREMATURA SCOMPARSA.

Matteo Colacchio nacque a Torremaggiore il 7 ottobre del 1911. Nel 1930 ottenne il diploma di Geometra e Tecnico agrimensore. Giovane professionista cominciò a farsi conoscere ed apprezzare dai suoi concittadini per la scrupolosità e la precisione con la quale misurava la superficie dei loro terreni per definirne i confini. Chiamato alla leva militare fu allievo ufficiale di artiglieria nell’Esercito Italiano a Pola in Istria, allora territorio italiano. Tolta la divisa nel 1934 venne assunto al Comune di Torremaggiore con la qualifica di responsabile dell’Ufficio Tributi. Nel 1935 fu richiamato alle armi e col grado di tenente di artiglieria fu mandato in Libia, allora colonia italiana. A Tobruch fu fatto prigioniero dagli Inglesi nel 1941 e inviato in un campo di concentramento in India dove rimase fino alla fine del conflitto nel 1946.



Insignito della “ Croce al merito di guerra “ rientrò a Torremaggiore e venne reintegrato nel ruolo di responsabile dell’Ufficio Tributi. Vivendo ogni giorno la vita quotidiana della Torremaggiore degli anni ‘50 con tutte le stesse criticità post-belliche di una Italia devastata e, conoscendo, grazie al suo ruolo, la situazione patrimoniale delle famiglie , comprese quanto l’economia della città, derivante prevalentemente dal comparto dell’agricoltura, fosse stagnante e, pur apprezzando l’indole laboriosa del “ cafone torremaggiorese “, non ne tollerava il diffuso atteggiamento remissivo e sottomesso nei confronti di tutti coloro che speculavano sul loro lavoro e sulle loro produzioni agricole.L’intuizione di realizzare una cooperativa agricola a carattere mutualistico in grado di compattare tutti i produttori per far fronte comune prese corpo in pieno “ boom economico “ (1958-1963), periodo di rinascita per la nazione.Fu l’uomo giusto al posto giusto e nel momento giusto. Non fu semplice vincere la naturale diffidenza degli agricoltori nei confronti delle nuove idee e il “ porta a porta “ spesso otteneva dei netti rifiuti. La Cooperativa Agricola “ FORTORE “ nacque ufficialmente nell’aprile del 1960 grazie alla sottoscrizione formale da parte di 18 operatori agricoli produttori di uva da vino ben convinti dell’urgenza, della fattibilità e della bontà dell’iniziativa. Il primo progetto di impianto produttivo fu finanziato con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno per 561 milioni di lire e fu realizzato in tempo per la vendemmia del 1966. Il numero dei soci arrivò a quota 700 e con l’avvio dell’attività produttiva si riscontrò una capacità di stoccaggio di 46mila ettolitri ed un impianto di imbottigliamento di 1800 pezzi/ora diventati 3000 nel 1973 e 5000 nel 1990.



Quale primo Presidente seppe scegliere le giuste competenze nell’ambito amministrativo e tecnico nelle figure del direttore amministrativo e responsabile vendite Rino Moffa e del direttore tecnico enologo Giancarlo Codella, nonché i giusti componenti del consiglio di amministrazione nelle figure degli operatori agricoli più aperti al nuovo e dotati di grande buon senso e di intelligenza pratica tra i quali il vicepresidente e fedelissimo amico Michele Di Pumpo. Seppe relazionarsi ed interloquire in modo magistrale con tutti i maggiori rappresentanti delle istituzioni per ottenere finanziamenti destinati all’ulteriore sviluppo della Cooperativa e al raggiungimento degli ambiziosi obbiettivi che si era prefissato per la tutela e la crescita del territorio. Tutti i politici di turno di ogni compagine si fregiarono del merito di aver contribuito alla realizzazione dell Fortore. Veniva citata quale esempio di realtà imprenditoriale cooperativistica tra le più importanti del Centro-Sud d’Italia per fatturato e per numero di soci e quale simbolo del riscatto del Mezzogiorno povero e emarginato. Ebbe numerosi riconoscimenti e tra questi gli fu conferito in Campidoglio a Roma il prestigioso premio internazionale “ L’Ercole d’oro “ su iniziativa dell’Accademia Internazionale per le Scienze Economiche e Sociali quale personalità che più si era distinta nell’ambito dell’innovazione e per il fattivo contributo a favore del benessere della nazione e a Verona nella fiera internazionale della vitivinicoltura Vinitaly il prestigioso premio “ Cangrande benemeriti della vitivinicoltura “ quale personalità che si era particolarmente distinta per aver saputo promuovere e valorizzare la cultura vitivinicola del proprio territorio. La Fortore segnò per la città di Torremaggiore la fine di un periodo socio-economico caratterizzato dal mai valorizzato duro lavoro dei braccianti, dei cui frutti beneficiavano esclusivamente commercianti speculatori attirati dalla quantità e dalla qualità dei prodotti agricoli pagati tanto poco da garantire appena una esistenza grama e senza alcuna prospettiva di progresso.


La Fortore garantì ai propri soci l’accettazione dell’intero raccolto e soprattutto il giusto uguale compenso ad ognuno di loro a differenza dei commercianti che potevano permettersi di rifiutare le uve o sottopagarle perché, a loro dire, non idonee e “ sempre “ di scarso valore. La nuova valorizzazione delle uve e il loro congruo apprezzamento ebbero come naturale conseguenza l’incremento del valore dei terreni agricoli. Fece comprendere che la loro identità contadina poteva assurgere ad un nuovo ruolo nel tessuto sociale della cittadina, non più braccianti sfruttati ma padroni della loro terra e dei loro frutti. Suscitò la consapevolezza che la loro operosità e l’unicità dei prodotti del territorio meritassero ben altra considerazione e un ristoro economico più soddisfacente. Fece scomparire quella passiva accettazione dell’ineluttabilità degli eventi e quell’accontentarsi di ciò che decidevano di dare mani estranee.
Il benessere si diffuse e riverberò su tutto il tessuto sociale risvegliando l’intraprendenza dei cittadini più operosi nell’ambito sia del commercio che dell’artigianato. Iniziò il periodo della meccanizzazione dell’agricoltura che diede nuovo impulso all’apertura di piccole officine e rivendite di attrezzi agricoli e dei primi trattori, le prime macchine agricole a motore. La manodopera divenne più qualificata e ci fu meno bisogno di giovani braccia. Si interruppe quel circolo vizioso, quella legge non scritta in ossequio alla quale i figli dei contadini dovevano per necessità seguire i genitori nei campi ed essere così condannati alla loro stessa stentata esistenza. Tutti si permisero di far studiare i propri figli e in città sorsero scuole di ogni ordine e grado pronte ad accettare una popolazione studentesca in costante crescita non più costretta a spostarsi nei più popolosi centri urbani limitrofi. Crebbe il livello culturale e mutò lo stile di vita.



I “ bassi di Torremaggiore “, una o due stanze senza finestre e con mediocri servizi che ospitavano famiglie numerose, attrezzi agricoli e spesso l’animale da soma, divennero esclusivamente ricoveri per i primi attrezzi agricoli a motore mentre le famiglie si spostarono ai piani nobili appena edificati. I flussi migratori verso le regioni del Nord Italia e verso il resto del mondo, drammatico fenomeno del dopo guerra, diminuirono finché, come si evince dai dati ISTAT, negli anni ‘80 ci fu l’inversione di tendenza con un incremento della popolazione. La richiesta di nuove costruzioni fece moltiplicare il numero di imprese edili e di conseguenza il numero degli occupati, diede nuovo impulso al mercato immobiliare con valutazioni divenute interessanti e indusse l’amministrazione comunale a creare nuove aree edificabili perché sorgessero nuovi quartieri sia di edilizia popolare che residenziale.



Il progresso sociale, economico e culturale furono evidenti con il tangibile flusso costante di denaro che non sfuggì all’occhio attento del mondo della finanza nazionale ed in breve tempo tutti i gruppi bancari di primaria importanza fecero la loro comparsa in città. Oggi possiamo dire che gli agricoltori di Torremaggiore che per la prima volta varcarono il cancello nel 1960 lasciarono alle spalle un “ prima “ della Fortore fosco e privo di futuro e vissero serenamente un “ dopo “ la Fortore. Questo fu il vero miracolo di Matteo Colacchio realizzato a Torremaggiore.
Scomparve prematuramente il 22 ottobre 1982 lasciando un grande vuoto umano e manageriale in tutta la comunità dell’Alto Tavoliere pugliese. L’amministrazione comunale a guida del Sindaco Armando Liberatore l’8 ottobre 1986 gli intitolò la strada antistante la Cooperativa.

Lo Staff di Torremaggiore.Com ringrazia sentitamente la famiglia Colacchio per aver fornito foto e vario materiale per la stesura di questa nota.

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